Il Villaggio "Sandro Cagnola" alla rasa di varese
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Il secondo conflitto mondiale aveva lasciato ferite profondissime: un numero elevatissimo di vittime civili e militari, vasti quartieri ridotti a cumuli di macerie, miseria e desolazione diffuse, alti livelli di disgregazione sociale, masse sbandate di profughi e reduci dal fronte e dalla deportazione, degrado materiale e morale, trame di convivenza civile sconvolte. Erano venuti a mancare gli elementi per una vita collettiva e familiare dignitosa. La condizione dell’infanzia era disastrosa sul piano materiale, morale e culturale. I collegi e i convitti tradizionali erano quasi tutti basati su principi assistenzialistici, ammantati di retorica religiosa, di speculazioni propagandistiche, di ostilità contro il movimento dei lavoratori più che di autentici sentimenti cristiani. Dalla catastrofe uscivano nettamente superati i modelli educativi tradizionali. Era urgente dare ai giovani la possibilità di riprendere e portare a termine gli studi interrotti. Dopo la Liberazione nacquero i Convitti-scuola della Rinascita, nei quali confluirono esperienze, prospettive, riflessioni maturate sotto il fascismo e cresciute durante la guerra partigiana. L’attività svolta dai Convitti, nei primi dieci anni del dopoguerra, non fu solo un complesso di corsi accelerati di recupero scolastico per ex partigiani e reduci, ma anche molto altro. Si trattava di formare personalità capaci di assumersi ruoli attivi di cambiamento nell’Italia democratica, aprirsi verso un orizzonte culturale diverso, cercare un rapporto nuovo tra le materie umanistiche e scientifiche per un adeguato inserimento nel mondo del lavoro: un grande progetto educativo.
Da un gruppo di ex partigiani, tra cui il pedagogista Guido Petter, fu costituito a Milano il primo Convitto della Rinascita, seguito da una decina di altri che divennero fucina di sperimentazione didattica e pedagogica. La storia dei Convitti della Rinascita, come quella del Villaggio “Sandro Cagnola”, risentì pesantemente della situazione politica e sociale italiana (e internazionale) di quegli anni, contrassegnati da aspre tensioni e dalla formazione di fronti politici contrapposti, nel clima di tensione tipico della guerra fredda. I Convitti dovettero interrompere la loro esperienza, alcuni per il mancato sostegno delle autorità e altri fatti chiudere con la forza.
Il Villaggio-scuola “Sandro Cagnola”, situato in località Rasa nei pressi di Varese, rappresentò uno dei più importanti esempi di sperimentazione educativa, laica e democratica, del dopoguerra italiano. Fu uno rari istituti innovativi rivolti all’infanzia, oltre al Convitto “Francesco Biancotto” di Venezia, alla Scuola–città “Pestalozzi” di Firenze, fondata da Ernesto Codignola, al Centro educativo italo–svizzero di Rimini, diretto da Margherita Zoebeli, e pochi altri. Il Villaggio-scuola fu creato all’interno di un parco appartenuto alla famiglia Cagnola, ricca famiglia lomellinese, che aveva donato nel 1938 la proprietà al comune di Milano, affinché fosse usata a scopi sociali. Nel dicembre 1946 venne istituito a Milano il Comitato per l’infanzia, di cui fu promotore e presidente Piero Montagnani, ex partigiano e vicesindaco della città, che stipulò una convenzione con il Comune per realizzare una comunità di ragazzi. Il Villaggio “Cagnola” fu creato inizialmente per accogliere bambini vittime della guerra e in seguito ragazzi in difficoltà. Nel magnifico ambiente naturale della Rasa, nel 1947 fu organizzato un campeggio; in tale occasione il giovane regista Dino Risi realizzò sul posto un documentario dal titolo “Verso la vita”, allo scopo di raccogliere aiuti per la gioventù in difficoltà. Nel 1948 il Comitato milanese per l’infanzia decise di dar vita a un villaggio-scuola e furono trasportate da Milano alcune baracche in legno (prima usate per ospitare famiglie senza casa per i bombardamenti). Così una trentina di ragazzi poté stabilirsi alla Rasa. La prima direttrice del Villaggio fu Elena Dreher, già partigiana a Milano nelle file del Partito d’azione. Decorata con la medaglia d’oro per le sue attività antifasciste, era stata eletta nel 1945 assessore all’Assistenza e beneficenza del capoluogo lombardo (una delle prime donne ad aver occupato un incarico pubblico dopo la liberazione). La comunità si organizzò sull’esempio dei Villaggi dei ragazzi, creati nel dopoguerra in vari paesi europei, e divenne membro della Fédération Internationale des Communautés d’Enfants (FICE) creata nel 1948, organismo dell’UNESCO. In seguito, per creare una piccola scuola, nuovi laboratori e accogliere altri ragazzi, tra il 1949 e il 1950 vennero realizzati edifici in muratura finanziati dalla Centrale sanitaria svizzera. Le nuove costruzioni furono progettate dal famoso architetto svizzero Hans Fischli (formatosi al Bauhaus) che fu pure il creatore del Villaggio internazionale “Pestalozzi” di Trogen, in Svizzera. Le nuove strutture furono ideate considerando le tre dimensioni dell’individuo, del gruppo e della comunità, in uno stile modernista, ben inserito nell’ambiente e funzionale alla vita sociale e alle attività didattiche. Anche gli arredi interni, progettati dallo stesso Fischli, rispondevano a queste esigenze.
Tra il 1951 e il ’52 numerose persone si avvicendarono alla direzione del Villaggio. Alla metà del ’52 la Centrale sanitaria svizzera si rivolse a Sergio e Rosina Rossi e affinché ne assumessero la conduzione. Entrambi conoscevano bene il Convitto della Rinascita a Milano. Sergio era diventato convittore nel 1945 come ex partigiano. Già maestro elementare, durante la Resistenza Rossi era stato infatti Commissario politico di battaglione, nelle brigate “Garibaldi” di Cino Moscatelli, e in quella veste aveva svolto attività formativa nei confronti dei partigiani culturalmente e politicamente più sguarniti: ciò aveva contribuito a rinforzare in lui le doti pedagogiche. Dopo aver terminato gli studi all’Accademia di Brera, aveva fondato una cooperativa di grafici e insegnava disegno ai ragazzi della scuola media interna. Rosina aveva seguito un corso per educatori organizzato dalla Società Umanitaria di Milano, si occupava di attività educative e sociali. Nell’estate del ’52 Sergio Rossi assunse la direzione del Villaggio “Cagnola”, che fu impostato adottando nuovi metodi educativi e organizzativi. La scuola divenne il nucleo portante dell’organizzazione, intesa non solo come luogo di apprendimento di nozioni ma anche come formazione al lavoro, preparazione culturale, valorizzazione delle potenzialità creative di ognuno, impegno quotidiano in tutte le attività del Villaggio. L’assunzione di precise responsabilità individuali, la vita collettiva, la partecipazione alle decisioni contribuivano alla formazione umana e sociale, al rispetto reciproco - all’interno di una cultura di pace e di dialogo - e soprattutto alla maturazione del senso della cittadinanza e della democrazia: i ragazzi del Villaggio era definiti “cittadini”.
Il Villaggio fu impostato, in parte, sulla base dell’esperienza maturata nei Convitti della Rinascita: comitato direttivo, assemblea, gruppi e commissioni di lavoro. Tutti, dal direttore agli insegnanti, ai maestri di laboratorio, al contadino, alle persone addette ai servizi, offrivano un modello educativo. La popolazione del Villaggio era eterogenea. C’erano orfani di partigiani e deportati politici, ragazzi inviati dai tribunali dei minorenni, altri con gravi disturbi del comportamento segnalati dai centri medico psicologici. Ma alcuni genitori avevano scelto di mandarvi i figli proprio perché era un istituto laico e democratico, come pochi in Italia. Il Villaggio ospitò anche parecchi bambini, vittime innocenti del clima politico del tempo: gli orfani dei contadini uccisi nelle occupazioni delle terre in Calabria o dalla mafia siciliana, i figli e i fratelli degli uccisi dal bandito Giuliano a Portella della Ginestra, i figli di lavoratori incarcerati per motivi politici. Oltre alla scuola interna, funzionavano una fattoria e due laboratori, di falegnameria e di meccanica. In ogni settore di lavoro c’era un gruppo di ragazzi che apprendevano il mestiere, mentre nelle ore libere tutti quanti, bambini e adulti, davano il loro contributo alla cura del Villaggio e al suo ampliamento. I lavori di manutenzione erano svolti dai ragazzi e dagli educatori, talvolta con l’auto dei genitori; durante l’estate si provvedeva a sistemare il parco e a costruire campi da gioco, calcio, pallacanestro, bocce, ecc. Si fabbricavano banchi di scuola, librerie, mobili che venivano poi anche venduti.
Alla cultura, nelle sue varie forme, era data grande importanza: musica, canto, lettura, teatro, cinema, ricerche naturali, escursioni facevano parte delle attività del Villaggio. Gli spettacoli dei ragazzi della Rasa, passati dai primi cori parlati a veri e propri spettacoli di mimo e di teatro, erano ammirati e richiesti per allietare le varie feste. Il massimo riconoscimento fu la Maschera d’oro vinta nel 1954 al Festival del teatro popolare a Napoli, con in giuria Eduardo De Filippo e Gillo Pontecorvo.
L’arricchimento culturale era rafforzato anche dalle origini sociali dei bambini e degli adulti, provenienti da tutta Italia e da ambienti diversi: un’originale esperienza d’integrazione e interazione. Sergio Rossi in prima persona, investiva nelle attività creative con i ragazzi tutto il suo entusiasmo, le sue competenze, la sua abilità di pittore e di artista. Il lavoro educativo del Villaggio era sostenuto dalla solidarietà esterna. Il sindacato dei tipografi offrì una macchina compositrice che fu usata per la stampa del giornale del Villaggio “Verso la vita”; gli operai della Geloso donarono un televisore, mentre la casa editrice Feltrinelli e la Libreria Internazionale di Milano fornivano i libri per la scuola e la biblioteca; alcuni pittori donavano i loro quadri per raccogliere fondi; dalle Cooperative emiliane giungevano camion di viveri per il sostentamento della comunità; gruppi di operai organizzavano collette. La corista Tita Fusco, moglie di Piero Montagnani, per raccogliere fondi creò l’Associazione Amici del Villaggio “Verso la vita”, che comprendeva alcuni coristi del Teatro alla Scala di Milano. Furono molti gli aiuti individuali, pur modesti ma ricchi di significato. La scuola poté contare sulla collaborazione volontaria di un gruppo d’insegnanti democratici di Varese: un prezioso contributo non solo sul piano didattico, ma anche per i rapporti con l’esterno. Gli amici del Villaggio divennero sempre più numerosi e il loro aiuto fu preziosissimo. Per i ragazzi era molto più formativo apprendere dalla viva voce dei protagonisti. Ad esempio Teresa Noce parlò dell’antifascismo, dell’orrore dei campi di concentramento, della sua attività di dirigente sindacale. Gli operai illustravano le loro lotte. La guerra di Liberazione era raccontata dai partigiani stessi. Argomenti difficili erano spiegati da specialisti: uomini di scienza e di cultura, come pure artigiani e contadini. Lo scrittore Gianni Rodari andò più volte alla Rasa. Gli scambi con l’esterno erano numerosi.
Esistevano proficui scambi educativi con altre istituzioni laiche italiane e con movimenti progressisti esteri. Alla Rasa si tenevano convegni di studio sui problemi della scuola, del tempo libero, dell’educazione. Sergio e Rosina Rossi partecipavano a convegni internazionali; ciò permetteva di mantenere un rapporto con le correnti più avanzate della pedagogia di quegli anni. Viva era la collaborazione con il movimento dei Pionieri e la rivista “Il giornale dei genitori”, la cui fondatrice, Ada Marchesini Gobetti, era una grande amica del Villaggio, come Dina Rinaldi, Mimma Paulesu Quercioli (nipote di Gramsci), le psicologhe Mariolina Berrini e Marcella Balconi, che offrivano la propria consulenza, e altre persone di rilievo.
I genitori agivano in stretta cooperazione con la comunità. Il consiglio dei genitori collaborò sul piano educativo e organizzativo, aiutando il Villaggio nei contatti con l’esterno, assistendo i ragazzi dimessi, eseguendo lavori diversi e istituendo una cassa di solidarietà. Nella loro attività Sergio e Rosina Rossi, con i collaboratori, ebbero come riferimento la pedagogia di Makarenko, di Dewey, di Freinet, di Montessori, la tradizione pedagogica laica: orientamenti educativi profondamente nuovi per l’epoca, che meritano, ancor oggi, attenzione e analisi. Il Villaggio “Sandro Cagnola” cessò di esistere nel 1963, due anni dopo la scomparsa di Sergio Rossi. La perdita di una direzione autorevole e propositiva aprì la crisi della comunità, che tuttavia si sciolse anche a causa delle difficoltà in cui si trovava il Comitato milanese per l’Infanzia e per il cambiamento della situazione complessiva della società italiana, in anni di profonde trasformazioni economiche e culturali.